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12/06/2018

L'Italia indossa la canottiera

Potremmo dire che in pochi l’hanno scampata: la tanto amata-odiata canottiera ha caratterizzato l’infanzia di moltissime generazioni italiane. Presente non solo durante la giovanissima età, ma diventando un accessorio fondamentale della vestizione del nostro Paese, tanto da esserne in qualche modo anche un simbolo. Il cinema l’ha portata in auge o stigmatizzata a seconda dei casi ed oggi fa parte dell’immaginario comune, soprattutto quando si tratta dello stereotipo italiano - ricordiamo con affetto gli irriverenti Elio e le Storie Tese salire sul palco del MTV European Music Award di Dublino nel 1999 per ritirare il loro premio ed indossando appunto una classica vogatore bianca.

Pare che la canottiera sia stata inventata nel XVI secolo dai nostri cugini d’oltralpe, i Francesi, e nello specifico da un nobile piuttosto eccentrico che in un momento di grande rabbia strappò colletto e maniche da una camicia, realizzandone la prima bozza. C’è invece chi sostiene che fu un generale norvegese, un certo Henrik Brun, a ricavarla da una rete da pesca. Quel che è certo è l’origine del nome canottiera: deriva infatti dal termine “canottaggio” dal momento che è stata per lungo tempo l’indumento di chi praticava questo sport. Tutt’ora i modelli maschili vengono chiamati “vogatore” e possono essere sia a spallina stretta che larga, l’importante è lasciare libere le braccia per non limitare i movimenti.

Perché così popolare?

Da abbigliamento puramente sportivo a capo intimo d’eccellenza il passo è stato breve. Non solo non limita in alcun modo la mobilità, ma copre proprio lì dove ce n’è più bisogno:

il petto - vuoi mai che ti pigli una bronchite
la pancia - che poi prendi freddo e ti viene la congestione
il busto - così ti tiene caldi i reni

In inverno come in estate chiaramente, funziona sempre! Ovviamente nella stagione fredda si predilige la lana, ma con il caldo non c’è nulla di meglio del cotone, soprattutto se si tratta di 100% cotone. Poi nulla vieta di interscambiare i modelli: la lana (lo ricordiamo sempre) è un termoregolatore naturale per tutte le stagioni, mentre il cotone è l’alternativa per chi la lana non la sopporta proprio.

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C’è da dire che nel corso degli anni la canottiera, soprattutto da donna, ha cambiato molto il suo design divenendo un capo molto più fashion, in alcuni casi anche sexy, e perdendo così la sua funzione primaria: quella di garantire la termoregolazione, la traspirazione della pelle ed assorbire il sudore. Funzionalità invece mantenuta nei modelli da uomo, per cui non è raro indossare un modello vogatore sotto la camicia, in modo da evitare macchie di sudore soprattutto in estate. Quando si dice che anche la canottiera ha il suo perché!

Solo in Italia?

No, non solo in Italia. Si può trovare anche in altre zone del mondo, soprattutto quelle tropicali, perchè ovviamente si presta come indumento per le alte temperature. Ma ben diverso è l’utilizzo che se ne fa qui in Europa e per questa ragione la canottiera è diffusa principalmente nel sud, attorno al Mediterraneo.
Non ha senso direte voi, in fin dei conti dovrebbe proteggere dal freddo. Ciò non è del tutto corretto: lì dove le temperature sono più rigide, la canottiera è un capo che non viene proprio considerato perché ci si copre con un vestiario più pesante e giacche tecniche ed il problema è risolto. Ha più senso invece lì dove il clima è mite con sbalzi di temperatura considerevoli, perché questo indumento jolly infilato sotto gli abiti risolve ogni incertezza su come vestirsi.

Vedi anche Trucchi per affrontare il cambio di stagione.

Per l’appunto, mi trovavo in Olanda alcuni giorni fa, nella bellissima cittadina di Leiden. All’improvviso, ma non inaspettatamente, ha iniziato a piovere. Mentre mi affrettavo a rientrare, ho incrociato un gruppetto di ragazzi pronti per la serata e, da buoni olandesi, incuranti della pioggia. Uno di loro indossava una immacolata camicia bianca e tra me e me ho pensato: ahi, con questa pioggia diventerà trasparente e si vedrà la canottiera. Chiamatelo pure bagaglio culturale, chiamatela anche deformazione professionale. Mi ci è voluto un minuto per ricordarmi che sotto quella camicia non ci sarebbe stato nessun tipo di maglieria intima. Al nord non si usa.

Non una semplice canottiera

Abbiamo già menzionato l’importanza che la canotta ha acquisito come simbolo di italianità. Non sempre o necessariamente con accezione positiva, ma sicuramente nasce come formula vincente in termini di sensualità maschile rude e proletaria: indossata con orgoglio dagli attori della Hollywood di inizio novecento, partendo da Rodolfo Valentino passando per Clark Gable, fino alla sua massima rappresentazione indossata da Marlon Brando prima in “Un tram che si chiama desiderio” e poi in “Fronte del Porto”. Insomma tutto urla “poveri sì, ma belli”.
Infatti negli Stati Uniti di quei tempi la canotta era soprannominata “Dago Tee” (dal nome spagnolo Diego) ed indicava, con intenzioni per nulla politicamente corrette, i lavoratori italiani ed ispanici che venivano impiegati come muratori nei cantieri, sotto il sole, a compiere lavori manuali.

Anche in Italia la canottiera è stata eletta a simbolo della gente comune, con finalità ed esiti differenti. Da cantanti, figure mediatiche e sicuramente anche da politici. Potremmo citare Adriano Celentano e i già menzionati Elio e le Storie Tese, oppure pensare al personaggio riuscitissimo di Fantozzi o al simbolo dell’italianità verace Albertone Sordi, che non solo canottiere, ma certo qualche maglia della salute ce l’ha regalata. Per arrivare fino a chi della canottiera ha fatto un mezzo di comunicazione politica, tanto da poterci scrivere un libro - “La canottiera di Bossi” di Marco Belpoliti: “...la canotta è un gesto, un gesto che serve a creare il personaggio”.

Quindi la prossima volta che la indossate, sappiate che vi state vestendo di molto più di un indumento intimo. Pensate non solo a quanto è utile, ma a quanta strada ha percorso andando fin oltre oceano, influenzando mode ed attori, ed a quanto ci regala ancora seppur nascosta sotto gli abiti. Semplicemente essenziale.